San Giovanni Apostolo è il discepolo più giovane e il più longevo. Morì tra la fine del I secolo e l’inizio del II, definito da Paolo “una colonna” della Chiesa nascente, con Pietro e Giacomo.
Il suo nome significa “dono del Signore”. Il suo Vangelo ci conduce al cuore di Gesù, alla profondità del suo messaggio attraverso immagini cariche di tenerezza.
Quel “conoscere” che significa un’intimità unica e indissolubile col Signore, proprio come quella che viveva Giovanni, tanto da definirsi “il discepolo che Gesù amava”. Ci accompagna a quel “credere”,utilizzato 98 volte nel quarto Vangelo. Nella libertà e accogliendo la grazia, che permette di nascere ad una nuova vita.
Giovanni è il primo a credere alle donne tornate dal Sepolcro vuoto e a correre, anche se per rispetto a Pietro si ferma e lo lascia entrare per primo.
Giovanni, figlio di Zebedeo e di Salome, fratello di Giacomo il Maggiore, abitava in Galilea sulle rive del lago di Tiberiade.
Era discepolo di Giovanni Battista, quando quel giorno alle 4 del pomeriggio (data che rimarrà incisa in modo indelebile nell’animo del giovane) il suo maestro additò Gesù che passava, dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio”.
Da questo annuncio nacque in lui quello slancio che lo portò a seguire Gesù assieme ad Andrea.
Fu dunque il primo degli apostoli e il più giovane, particolare questo che può far presupporre la sua purezza interiore ed esteriore mantenuta per tutta la vita.
Un privilegio che gli meritò di essere presente alla Trasfigurazione e durante l’Ultima cena. Poggiando il capo sul petto del Maestro, sapendo chi lo avrebbe tradito, di essere con lui nel Getsemani e l’unico apostolo sotto la Croce accanto a Maria.
L’unico che pieno di Spirito non abbandona mai Gesù. Colui che Gesù stesso affida a sua madre quale figlio adottivo e che in quel momento incarna l’umanità intera. Al quale nello stesso tempo dona la maternità di Maria, madre della Chiesa.
Senz’altro quest’ultimo gesto è il preludio di una relazione profonda tra Maria e Giovanni. Due anime elette e consacrate in tutto alla missione del Padre, in comunione con il Figlio, vergini e oranti, precursori di questo stato di vita.
Forse è proprio da questa lunga convivenza che il discepolo prediletto ebbe modo di penetrare e custodire il mistero del Cristo e dare vita al quarto Vangelo, definito “spirituale”, per lo spessore teologico.
Proprio a motivo di questa contemplazione divina e delle più alte verità, gli fu assegnato come simbolo l’aquila, perché si credeva che questo volatile potesse fissare il sole.
L’annuncio di una Buona Novella che l’apostolo inizia con uno straordinario inno:
“In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio…” che chiudeva le celebrazioni eucaristiche dal XIII secolo fino al Concilio Vaticano II e che Cristoforo Colombo recitava dalla prua della nave durante le tempeste.
Dopo la Pentecoste, Giovanni seguì Pietro nell’opera di apostolato e con lui fu più volte arrestato e flagellato a causa della predicazione. Successivamente si dedicò all’evangelizzazione dell’Asia Minore, fondando diverse comunità, tra cui la Chiesa di Efeso.
Fu l’unico apostolo a non subire il martirio, ma patì le persecuzioni di Domiziano che lo convocò a Roma e dopo averlo rasato in segno di scherno, lo fece immergere in una caldaia di olio bollente, dal quale uscì illeso.
Fu quindi mandato in esilio nell’isola di Patmos (oggi patrimonio dell’umanità dell’UNESCO), fino alla morte di Domiziano. Proprio in questo luogo furono condotte alla fine del ‘900 delle ricerche archeologiche. Basandosi su delle visioni di Anna Katharina Emmerik, che portarono alla luce i resti della casa dove sarebbero vissuti Maria e Giovanni.
Successivamente l’apostolo tornò ad Efeso dove rimase fino alla morte (ormai ultracentenario, tanto che tra le comunità cristiane correva voce che non sarebbe morto prima della parusia di Gesù) verso il 104 d.C..
A Patmos Giovanni profetizza la fine dei tempi, la vittoria finale del Bene e il trionfo di Cristo. Narra tutto questo nel libro dell’Apocalisse, dal greco, Rivelazione chiudendo per sempre la Rivelazione divina come l’ultimo dei profeti.
Da quel momento sarà la Chiesa a parlare, fino alla fine dei tempi. Un libro spesso sconosciuto e apparentemente enigmatico, in realtà attualissimo se pensiamo alle recenti persecuzioni contro i cristiani. Un libro come seme di speranza per le Chiese di ogni tempo, perseguitate e in crisi, affinché si rinfranchino nella fede e testimonino con coraggio il Kerygma.