GIUSTIFICAZIONE E LIBERTA’: il messaggio evangelico del perdono universale di Dio, della conseguente libertà del cristiano e della liberazione dell’uomo di ogni epoca. Parte seconda.
Come osservatore cattolico impegnato nel dialogo ecumenico e nella fraternità cristiana mi permetto di fare alcune considerazioni critiche sul documento “Giustificazione e libertà”.
Anzitutto noto l’imbarazzo che trapela qua e là nell’affermare da una parte che la fede deve tradursi in opere evangeliche concrete e dall’altra che queste opere non possono essere espressione della libera responsabilità del credente. Infatti viene affermato: “Credere non è quindi un’opera dell’uomo… Le opere buone scaturiscono per così dire naturalmente, quasi automaticamente, dalla fede”(p. 87). Oppure: “La fede produce quasi da se stessa opere buone” (p.90). Sorge spontanea una domanda: l’uomo è solo oggetto o è anche soggetto nella recezione della salvezza? Si può ancora parlare di libertà e responsabilità della coscienza della persona?
Nel documento sembra aleggiare un fantasma che non si riesce a cacciare: quello della predestinazione alla salvezza, ovvero della totale passività del credente nell’accoglienza della salvezza. Sembra che non si possa o non si voglia prendere posizione tra il predestinazionismo dei fondatori del protestantesimo, oggi abbandonato dalle chiese metodiste, evangelicali e pentecostali, e il sinergismo salvifico, che sostiene il concorso tra la redenzione ad opera di Gesù’ Cristo (giustificazione forense) e la libera accoglienza del credente resa possibile dallo Spirito Santo (santificazione). Quest’ultima posizione, detta sinergista, è molto vicina a quella della tradizione cattolica, la quale non ha mai affermato che le opere buone del credente meritano la salvezza in concorso con Cristo, ma solo che il credente, mosso dallo Spirito, riceve la capacità di accettare liberamente la santificazione. Accettare liberamente un dono o una eredità non significa affatto affermare di averla meritata! Inoltre se si sostiene la dottrina della predestinazione circa la vita soprannaturale si contraddice la dottrina biblica della retribuzione escatologica del paradiso e dell’inferno! Il paradosso più grande di Lutero diventa allora quello di aver fondato la proclamata “libertà evangelica del cristiano” nelle questioni secolari e anche in quelle ecclesiastiche, su una dottrina della redenzione in cui la libertà assoluta di Dio incontra un uomo predestinato e totalmente passivo (come un cadavere spirituale)!
In secondo luogo se da una parte la Parola di Dio viene dichiarata accessibile e autoevidente a tutti e dall’altra si afferma che la fede è fondata su una esperienza ineffabile e soggettiva della verità della Parola nel credente, si rischia di porre la propria coscienza come criterio ultimo di valutazione della Parola biblica e della stessa predicazione ecclesiale della Parola. Lutero diceva a Worms nel 1521:”La mia coscienza è prigioniera della Parola di Dio”. Ma non si accorgeva che rendeva la medesima Parola di Dio prigioniera della sua coscienza e della sua dottrina teologica, quella della predestinazione alla salvezza. Se poi la chiesa è, come afferma Lutero, creatura della Parola, ogni credente o gruppo di credenti potrà diventare chiesa a se stesso sulla base della propria interpretazione della bibbia. Per questa strada inclinata si finisce per avallare l’interpretazione soggettivista, sia individuale che collettiva, delle Scritture propria degli spiritualisti, degli entusiasti e degli apocalittici di ogni epoca. Cioè la interpretazione letteralista, fluttuante e arbitraria tipica dell’anabattismo storico, combattuto fin dall’inizio dalle chiese luterane e calviniste.