Il Venerdì Santo è il giorno del dolore, ma anche quello dell’amore più grande. È la giornata in cui la Chiesa non celebra l’Eucaristia, ma si raccoglie davanti alla croce. Un giorno “vuoto” all’apparenza, eppure così carico di senso da far vibrare l’anima anche di chi è distante dalla fede. È il giorno in cui tutto si ferma, perché anche Dio, sulla croce, ha scelto di fermarsi, di non scappare, di non difendersi, di non spiegare. Ha semplicemente amato, fino alla fine.
La liturgia del Venerdì Santo è forse la più austera e intensa dell’anno: niente campane, niente musica, niente gloria. Il sacerdote entra in silenzio, si prostra a terra. È un gesto forte, quasi teatrale nella sua essenzialità, ma profondamente vero: è l’uomo che si arrende al mistero, che riconosce che davanti al dolore non c’è parola che tenga, solo adorazione. Si legge il racconto della Passione, si prega per il mondo intero, si venera la croce. Non una reliquia, non un simbolo: la croce vera, concreta, grezza, segno di uno scandalo che è diventato salvezza.
Il Venerdì Santo non è solo la memoria di un fatto storico: è un presente che ci interpella. Gesù muore ancora oggi nelle periferie dimenticate, nei volti stanchi dei poveri, nelle lacrime di chi soffre in silenzio. La croce non è finita duemila anni fa: è piantata nella terra di oggi, e chiede di essere vista, riconosciuta, abbracciata. Eppure, proprio da quella croce nasce la speranza. Perché lì, dove il mondo ha visto fallimento, Dio ha mostrato la sua gloria. Dove c’era la morte, è nato un amore più forte. Dove sembrava esserci solo buio, è cominciata l’alba.
Il Venerdì Santo è anche il giorno del silenzio. Un silenzio sacro, che parla più di mille omelie. È il silenzio di Maria ai piedi della croce, di Giovanni che resta accanto, del cielo che si oscura. È il silenzio di Dio stesso, che non interviene, non evita il dolore, ma lo attraversa. E in quel silenzio ci siamo anche noi, con le nostre domande, le nostre ferite, le nostre attese. Il Venerdì Santo non dà risposte facili, ma offre una presenza. Una croce che ci dice: “Non sei solo”.
Ogni anno, questo giorno ci viene incontro come un invito. A fermarci. A guardare in alto. A riconoscere che il vero amore non grida, non si impone, non si vende. Si dona, in silenzio, e resta fedele fino alla fine. Il Venerdì Santo è l’occasione per metterci in ascolto, per accogliere la lezione più difficile ma anche più liberante del Vangelo: che si vince perdendo, che si ama offrendo, che la vita vera nasce proprio dove sembra finire.
E così, tra il buio del Golgota e il silenzio del sepolcro, comincia a nascere una speranza nuova. Non gridata, non appariscente, ma reale. Una speranza che non delude. Una speranza che, come un seme nascosto nella terra, sta già preparando la Pasqua.