Sassoferrato nel nome racchiude la durezza del sasso e del ferro ma si trasforma in dolce ossimoro quando diventa “Il Sassoferrato”. E’ questo il nome d’arte di Giovan Battista Salvi (Sassoferrato, 25 agosto 1609; Roma, 8 agosto 1685) pittore del Seicento a cui la cittadina marchigiana dedica una straordinaria mostra curata da François Macé de Lépinay, visitabile al Palazzo degli Scalzi fino al prossimo 5 novembre.
Una sessantina di opere impreziosite da una ventina di schizzi, disegni e studi preparatori giunti da Windsor, dalla Royal Collection Trust, la Reale Collezione Britannica, che celebrano in nuce il vero preludio alla “devota bellezza”. Tutta l’estasi devozionale si esprime infatti nelle forme perfette e ineccepibili frutto di quel grande e raffinato genio che in modo umile ed estremamente affascinante ha ritratto le figure sacre della cristianità.
Allo stimato critico Federico Zeri che, pur nel suo dichiarato agnosticismo, era particolarmente devoto alle Madonne oranti del Sassoferrato, è attribuito il merito di aver per primo scoperto e riabilitato la prodigiosa arte senza tempo di Giovan Battista Salvi, a lungo oscurata dall’emergente laicizzazione in contrasto con il culto mariano che invece il pittore cattolico esalta.
Quella del Sassoferrato è un’arte senza tempo sulla via del classicismo perché tutti i suoi personaggi e i suoi santi sono imperturbabili, immobili, metafisici, senza lacrime o turbamento ma rimangono fissati in un momento preciso che si tramanda per l’eternità attraverso lo splendore formale e assoluto delle sue popolarissime icone. Così il colore bianco nelle sue opere non è mai bianco candido ma, in una delicata mescolanza frutto di una sorta di magia cromatica, si fonde a gocce di ocra, simbolo di luce, di purezza e di sacralità. Sentimenti di inevitabile devozione si evincono di fronte alla struggente e affascinante “Madonna col Bambino e San Giovannino” (olio su tela, cm 133 x 97) proveniente dalla Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia: nei volti eterei e delicati ritratti dall’artista alberga «la trasfigurazione di materna luce e fisionomia totale» come ha sottolineato lo stesso Federico Zeri.
«L’arte può anche morire. Quello che conta è che abbia sparso dei semi sulla terra» ci ricorda il pittore surrealista spagnolo Joan Mirò. I quadri di Giovan Battista Salvi sono dunque un grande seme di speranza, un grande miracolo nella pittura del Seicento che giunge oggi fino a noi, per riscoprire tracce del sacro nella quotidianità di un Volto materno ancora capace di salvarci.
Per informazioni sulla mostra: www.ladevotabellezza.it