Uno dei più noti santi della storia della Chiesa è Sant’Antonio Abate, nato intorno al 250 d.C. in Egitto (a Coma), da un’agiata famiglia di agricoltori. Dopo essere rimasto orfano a circa vent’anni, rimase affascinato dalle parole rivolte da Gesù al giovane ricco:
“Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi”.
Antonio quindi donò tutti i suoi beni e dopo aver affidato la sorella minore ad un istituto femminile, intraprese la vita eremitica in zone remote della città, seguendo l’esempio di alcuni anacoreti che vivevano nella preghiera, castità e povertà.
La tradizione narra che il Signore gli inviò un angelo per mostrargli il cammino da intraprendere: questo alternava la preghiera al lavoro (intrecciava una corda), ovvero i due pilastri su cui si fonderà il monachesimo occidentale.
Desideroso di vivere un’ascesi più profonda, Antonio si ritirò in un’antica tomba scavata nella roccia ai margini di Coma, cibandosi di erbe e frutti di bosco. In questo tempo subì molte tentazioni e fece esperienza del deserto spirituale (è spesso raffigurato circondato da donne prosperose, simbolo delle tentazioni) riuscì a superare tutto con la fede e perseverando nella volontà di Dio.
Il raccoglimento e la solitudine che ricercava erano però spezzati dalle visite dei concittadini desiderosi di ricevere consigli e consolazione; per questo Antonio, sull’esempio di Gesù che fu condotto dallo Spirito nel deserto, nel 258 d.C. si stabilì sulle montagne del Pispir, nei pressi del Mar Rosso, in una fortezza abbandonata ma con una fonte sorgiva, dove visse per 20 anni come anacoreta. E’ considerato il fondatore del monachesimo e primo degli abati, poiché fu raggiunto nel Mar Rosso da molte persone desiderose di dedicarsi alla vita eremitica. Nacquero così due monasteri di cui Antonio fu l’abate: infatti i monaci facevano riferimento ai suoi consigli nel cammino della perfezione spirituale, pur essendo affiancati da un monaco più anziano.
Lasciò più volte il monastero per confortare i cristiani perseguitati dall’Imperatore romano e per sostenere il Vescovo di Alessandria, Sant’Atanasio (che in seguito scriverà la sua biografia), nella lotta contro l’arianesimo.
Dopo la pace di Costantino, Antonio si ritirò nel deserto della Tebaide, dove rimase fino alla sua morte avvenuta il 17 gennaio del 356 d.C. all’età di 106 anni e fu seppellito in un luogo segreto. Nel 561 d.C. il suo sepolcro venne scoperto e le reliquie giunsero fino in Francia, dove numerosi pellegrini ricorrevano alla sua intercessione, soprattutto per ottenere la guarigione dall’herpes zoster, tanto da richiedere la costruzione di un ospedale per ospitarli e la costituzione di una confraternita (gli “Antoniani”), per accoglierli. Per questo motivo Sant’Antonio è invocato contro le malattie della pelle.
Il Papa accordò il permesso di allevare maiali per il sostentamento della comunità e per utilizzare il grasso nelle preparazioni di emollienti per la cura dello zoster (detto anche “fuoco di Sant’Antonio”), per questo veniva messa agli animali una campanella di riconoscimento. Infatti l’iconografia medievale ce lo presenta spesso nell’atto di benedire, accanto ad un maialino con un campanello al collo.
E’ considerato protettore degli animali domestici e da stalla (la leggenda vuole che a questi venga data la facoltà di parlare, durante la notte del 17 gennaio); per questo si è soliti benedire gli animali durante le celebrazioni in occasione della festa del santo.
In alcune zone del nord Italia si accendono dei falò “purificatori”, simbolo del lasciare tutto ciò che appartiene al passato e ripartire dal primo mese dell’anno, e per rievocare il miracolo con cui il santo mise in fuga gli invasori stranieri, trasformando le querce in grandi torce.
In Abruzzo le processioni si svolgono in costumi ottocenteschi e si fanno grandi falò; in Sardegna il santo viene chiamato “Sant’Antoni de su fogù” (del fuoco), perché si narra che egli con il suo bastone rubò il fuoco dall’inferno per portarlo sulla terra in favore degli uomini accendendo una catasta di legna (è anche patrono dei pompieri e di tutti coloro che hanno a che fare con il fuoco). Infatti Sant’Antonio è spesso raffigurato con il bastone a forma di tau degli eremiti e che gli Antoniani portavano cucito nell’abito.
Il comune campano che prende il nome del santo, festeggia con la sagra della porchetta e la fiera, oltre all’accensione di un enorme falò detto “cippo”, attorno al quale si balla al ritmo delle “tamurriate”.
A Novoli (nel Salento) che conserva la preziosa reliquia del braccio del santo in un santuario a lui dedicato, si accende la Fòcara, una pira alta 25 mt. che brucia per tutta la notte del 16 gennaio, alla vigilia della festa, con balli e canti popolari.
A Macerata Campania, in provincia di Caserta, rivive la tradizione delle “Battuglie”: si utilizzano botti, tini e falci come strumenti musicali per suonare la “Pastellessa” maceratese.
La festa di Sant’Antonio cade nel periodo di Carnevale, poiché anche anticamente nel mese di Gennaio ci si ritirava in casa per il freddo pungente e approfittando del fatto che il lavoro in campagna diminuisce. Si approfittava per radunarsi di fronte al focolare, bevendo il vino novello e consumando le scorte dei preparati del maiale macellato da poco, prima del digiuno quaresimale.