Il 4 novembre cade la ricorrenza della morte di San Carlo Borromeo, una figura importante e venerata dalla religione cattolica. Considerato uno dei più grandi riformatori della Chiesa Cattolico-Romana, fu un cardinale e arcivescovo italiano, canonizzato nel 1610 da papa Paolo V, ad appena 26 anni dalla sua morte. Nonostante si attenesse ai precetti di Sant’Ambrogio e Sant’Agostino riguardanti il digiuno, la sua stazza era robusta e risultava alto e imponente per l’epoca.
Nato il 2 ottobre del 1538, da Margherita Medici, sorella di papa Pio IV, e Gilberto Borromeo, grazie ai nobili e facoltosi natali poté studiare fin da piccolo, preferendo fin da subito le materie umanistiche. A soli 9 anni, nel 1547, ricevette l’abito clericale, mentre a dodici ebbe in affidamento (causa rinuncia dello zio Giulio Cesare Borromeo) l’abbazia di San Leonardo di Siponto, con il titolo di abate commendatario. La sua impeccabile gestione e il senso pratico fecero si che alla morte del padre, nel 1558, i parenti gli chiesero di prendere in affido gli affari di famiglia, nonostante avesse un fratello maggiore (Federico Borromeo), a cui di norma sarebbero passati.
I suoi studi lo portarono a Pavia, dove si dedicò al diritto canonico e civile, laureandosi il dicembre del 1559. Proprio a Pavia, nel 1564, fondò l’Almo Collegio Borromeo (che prese il nome da lui), una struttura residenziale per agevolare gli studenti volenterosi e meritevoli ma che si trovavano in scarse condizioni economiche. Ancora oggi, questo collegio è considerato tra i più prestigiosi e antichi d’Italia.
Sempre nel 1559, suo zio materno, Giovan Angelo Medici di Marignano fu eletto papa, prendendo il nome di Pio IV, e convocò a Roma Carlo e il fratello Federico, per renderli partecipi degli affari della Chiesa. Già l’anno seguente, Carlo fu nominato protonotario apostolico partecipante e referendario della corte papale e poco dopo assunse anche il ruolo di membro della consulta per l’amministrazione dello Stato Pontificio. Divenne abate commendatario di varie abazie, una delle quali nelle Fiandre e un’altra in Portogallo.
Il 1560 fu l’anno in cui lo zio lo fece ordinare cardinale diacono, ottenne la nomina di amministratore dell’arcidiocesi di Milano, e poi di legato pontificio a Bologna e in Romagna. Prima della fine dell’anno, consacrò definitivamente la sua carriera ecclesiastica, diventando Segretario di Stato, carica tra le massime dell’amministrazione dello Stato della Chiesa. Nel 1561 guadagnò la carica di governatore di Civita Castellana e di Ancona, e fu anche proclamato cittadino onorario di Roma.
La sua carriera religiosa era in costante ascesa, quando nel 1562 morì il fratello, e la famiglia gli chiese di lasciare l’ufficio ecclesiastico, per evitare la scomparsa della sua dinastia, sperando che Carlo prendesse moglie per avere degli eredi, ma lui decise di continuare la propria missione all’interno della chiesa. Pur ereditando il titolo di principe i Orta, nel 1563 venne ordinato sacerdote a Roma, nella Basilica di Santa Maria Maggiore.
Sfruttando la carica di segretario dello stato pontificio, Carlo Borromeo riuscì a far riaprire il Concilio di Trento, ostacolando la visione protestante dell’eucarestia come semplice memoriale dell’ultima cena, rafforzando la visione cristiana della messa come celebrazione in grado di riportare il sacrificio di Cristo in ogni celebrazione.
Fu anche grazie alla sua spinta, che si rafforzarono temi come il valore del matrimonio e del celibato sacerdotale. Fu incaricato dal papa di partecipare all’elaborazione del Catechismus Romanus, con altri importati figure della controriforma in atto in quel periodo. La sua opera fu di incredibile valore come venne confermato in seguito alla morte dello zio pontefice, nel 1565, evento che non intacco il ruolo di Carlo Borromeo all’interno della chiesa, partecipando anche al conclave per l’elezione del successivo papa, che su suo consiglio prese il nome di Pio V.
Dal 1566, per molti anni si dedicò a dimostrare quanto voluto nel Concilio di Trento, ovvero la necessità di un clero unito, dai costumi rinnovati ed esempio di virtù per il popolo. Lo fece occupandosi dell’arcidiocesi di Milano, utilizzando anche le proprio finanze (che da sempre devolveva ai più bisognosi), riordinando il clero, rafforzandone la mortalità e supportando la sua preparazione religiosa. Arrivò così alla fondazione degli Oblati di Sant’Ambrogio, congregazione fondata nel 1578. Sotto la sua guida, la diocesi milanese si rinnovò, vedendo anche la fondazione di nuove chiese e santuari. Di persona visitava anche i borghi più remoti, promuovendo la fondazione di scuole e collegi. Portò assistenza, nel terribile periodo della “peste di San Carlo”, avvenuta tra il 1576 e il 1577, in cui pregò a e fece penitenza per richiedere l’intercessione affinché il morbo si placasse. Cosa che avvenne, testimonianza per molti della santità di Carlo Borromeo.
La sua posizione e l’influenza antiprotestante lo portarono a subire un attentato, nel 1569, da parte di un membro dell’ordine degli Umiliati (che Carlo stava riformando per ordine di Pio V): un colpo di archibugio nella schiena che lo lasciò miracolosamente indenne. I quattro responsabili del crimine furono perseguiti e giustiziati, mentre l’ordine degli Umiliati trovava la sua fine ed i suoi possedimenti venivano devoluti ad altri ordini. Carlo Borromeo combatté il protestantesimo anche nelle valli svizzere, in cui impose le disposizioni del Concilio di Trento, e dove fece arrestare circa 150 persone per stregoneria, consegnandole all’inquisizione. Solo una decina finì condannata, mentre la maggioranza rigettò la religione protestante.
La peste cui era sopravvissuto, lo aveva lasciato comunque debilitato, tanto che il 3 novembre 1584, la sua vita si spense a Milano. Aveva solo 46 anni e, secondo l’uso del tempo, poiché spirò dopo il tramonto, il giorno della ricorrenza venne fissato al 4 novembre. Il corpo venne deposto nel Duomo di Milano, e ancora li si trova, mentre il cuore fu posto nella basilica dei Santi Ambrogio e Carlo Corso a Roma, come gesto simbolico. Secondo le sue volontà, i suoi averi furono devoluti all’Ospedale Maggiore di Milano. Nel 1602 fu proclamato beato, e nel 1610 fu canonizzato.