Da secoli, l’ostensione della Sacra Cintola di Maria si celebra l’8 settembre a Prato, con tradizionali riti sacri e celebrazioni dal sapore più laico, come la famosa Fiera di Prato. Già nel ‘500, Nicolò Macchiavelli scriveva nell’opera La Mandragola un riferimento a questo evento, facendo pronunciare a messer Nicia le parole “E non si fece mai la fiera a Prato che io non vi andassi”.
L’8 settembre è il giorno in cui si celebra la Natività di Maria e, a Prato, già da allora, numerosi giungevano in città per prendere parte alla festa chiamata anche “Madonna della Fiera”. Infatti, è proprio per omaggiare la sacra Cintola di Maria, che a settembre vengono organizzate numerose iniziative e occasioni di festa. Un’occasione rimasta molto viva e sentita dalla popolazione, ancora oggi.
La Cintola di Maria (anche chiamata Sacro Cingolo) viene conservata a Prato da circa 800 anni all’interno della cattedrale di Santo Stefano, ed è il vero e proprio simbolo religioso e civile della città. La reliquia è una sottile striscia di finissima lana caprina di circa 87 centimetri, verde chiaro, broccata in filo d’oro, che la tradizione vuole donata a San Tommaso dalla Vergine al momento della sua assunzione. Un simbolo che unisce l’umano ed il divino, il cielo e la terra, da secoli fulcro della religiosità della città di Prato, che lo ha sempre trattato come importante tesoro per la collettività locale. Proprio questo profondo legame con la sacra reliquia ha reso la devozione dei pratesi per la Vergine Maria forte e duratura nei secoli.
La storia della Cintola di Maria proviene dalle tradizioni antiche risalenti al V e VI secolo: si racconta che la Vergine ricevette la visita di un angelo che ne annunciò la morte a tre giorni dal loro incontro. Gli apostoli tutti, tranne San Tommaso, giunsero per assisterla negli ultimi giorni della sua vita terrena. Una volta morta, ne condussero il corpo nella valle di Giosafat per deporlo in un sepolcro murato da una grossa pietra. Subito una luce accecò i presenti a cui si era aggiunto San Tommaso, condotto miracolosamente sul Monte degli Ulivi dall’India. Fu lui a vedere la Madonna ascendere ai cieli in una nube di luce, la invocò, e Maria gli donò la propria cintura in segno di benevolenza, e come reliquia a testimonianza dell’accadimento miracoloso.
Nella tradizione pratese, il racconto continua con San Tommaso che lascia la Cintola in custodia ad un sacerdote, affinché fosse riposta in una chiesa da costruire in onore della Beata Vergine. Tale chiesa non fu però eretta, e i discendenti del sacerdote si tramandarono per secoli la Cintola, finché nel 1140, un devoto pellicciaio pratese di nome Michele giunse a Gerusalemme in pellegrinaggio. Là si innamorò di una ragazza, figlia di un sacerdote di rito orientale, che sposò in segreto, trovandosi costretti a fuggire per sfuggire alle ire del parente. La madre invece supportò il loro amore, e gli regalò un canestro di giunchi, in cui all’interno si trovava anche la sacra reliquia mariana. Tornato a Prato non rivelò a nessuno della reliquia, fino al giorno della sua morte (nel 1172), quando la donò a Uberto, proposto della pieve di Santo Stefano, a cui rivelò l’intera storia. Il proposto era molto dubbioso, ma la reliquia mostrò alcuni prodigi che lo portarono a credere. Da allora la Cintola di Maria di Prato è esposta alla venerazione del popolo.