Papa Francesco si è rivolto, alcuni giorni fa, alla comunità del Seminario Regionale Marchigiano “Pio XI”. In questa occasione, il pontefice ha ricordato colui che è un vero e proprio modello ispiratore per chi affronta la formazione sacerdotale: San Giuseppe. Questo è l’anno dedicato al padre putativo di Gesù, e le parole di Papa Francesco si sono volute concentrare sul ruolo di guida e protettore che ha avuto San Giuseppe; una figura in grado di indicare la via ai futuri sacerdoti.
Ricordando che “la formazione è un processo in evoluzione”, il Papa si è rivolto a coloro destinati a formare i seminaristi durante il loro percorso, per fare in modo che questi “imparino la docilità dalla vostra obbedienza; la laboriosità dalla vostra dedizione; la generosità verso i poveri dalla testimonianza della vostra sobrietà e disponibilità; la paternità grazie al vostro affetto vivo e casto.” Seguendo appunto quelle che sono state le virtù di San Giuseppe.
In particolare la docilità è una virtù tra le più importanti “non solo da acquistare ma da ricevere”. Essere docili verso il prossimo e verso se stessi, non essere quindi giudici troppo severi ma al contrario in grado di accompagnare chi si rivolge a noi per chiedere aiuto e consiglio. Perché “senza docilità, nessuno può crescere e maturare”.
E come sempre parla anche di compassione e amore. Perché un sacerdote ben acculturato in teologia, disciplinato e a tutti gli effetti in grado di insegnare agli altri “se non è umano, non serve”. Potrebbe essere un buon professore, ma non un buon sacerdote, il quale necessita di cuore, di essere un vero e proprio esperto in umanità.
Proprio per questo, il pontefice ha voluto mettere in guardia sul pericolo di far diventare il seminario un luogo che distanzia i futuri sacerdoti dalla realtà del mondo, isolandoli. Al contrario, il seminario deve servire ad avvicinare e far incontrare, non certo portare a chiusure e rigidità. Guai a chiudersi in se stessi, ricercando una “facile spiritualità interiore” o per tenere lontani debolezza e momenti di crisi. Il seminarista deve coltivare “relazioni pulite, gioiose, liberanti, umane, piene, capaci di amicizia, capaci di sentimenti, capaci di fecondità”. Nel caso si venga colti da dubbi o difficoltà, ci si deve poter rivolgere in tutta sincerità ai formatori, vero e proprio supporto per i seminaristi.
In fondo, il vero significato di farsi preti è quello di voler “servire il Popolo di Dio, per prendersi cura delle ferite di tutti, specialmente dei poveri”. E il modo in cui questo servizio può essere compiuto al meglio è proprio quello di mescolarsi con quel gregge che si vuole aiutare e proteggere, senza mai isolarsi.