In un piccolo paese dell’Abruzzo, Cocullo (Aquila), il primo maggio di ogni anno si celebra una festa in onore del patrono San Domenico.
San Domenico, anche conosciuto come Domenico Abate o San Domenico di Sora, fu un riformatore della vita monastica a cavallo tra X e XI secolo. Nacque a Foligno nel 951e fu affidato bambino ai monaci di San Silvestro. In seguito divenne benedettino e sacerdote. Il suo desiderio più grande era di condurre una vita eremitica, ma ovunque andasse accorreva molta gente. Così si spostò in diversi luoghi, fondando monasteri. Prima fu su un monte presso Scandriglia (Rieti), dove edificò San Salvatore, divenendone abate. Poi in Abruzzo, dove sorsero San Pietro del Lago e San Pietro di Avellana. A Trisulti, presso Collepardo (Fr), fondò il cenobio di San Bartolomeo, che ebbe grande fama. Chiese a Giovanni XVIII protezione per le sue fondazioni. Grazie a una cospicua donazione del conte Pietro Rainerio, signore di Sora, fondò il monastero chiamato con il suo nome. In questo monastero morì nel 1031 e vi fu sepolto. Venerato a Sora e nel Frusinate, è considerato guaritore dai morsi dei serpenti. A Cocullo la statua è portata in processione coperta di rettili.
Sono parecchie le leggende che riconducono la festa cristiana di San Domenico a Cocullo, all’antico culto pagano della Dea Angizia di Luco dei Marsi e, nonostante oggi gli archeologi ne abbiano quasi definitivamente accertata l’estraneità, è sicuramente evidente come rimanga ancora un legame simbolico, come fosse un gemellaggio ancestrale tra questi due paesi.
La festa proviene da un antico culto pagano intrecciatosi con la religione cristiana a seguito del passaggio di San Domenico nei pressi del paese di Cocullo. Da allora la festa è rimasta dedicata al Santo, cui erano attribuite le stesse doti della Dea: le capacità curative contro i morsi dei serpenti, di altri animali pericolosi e il mal di denti. Del santo oggi rimangono solo le reliquie, un dente e il ferro della mula con il quale, attorno all’anno mille si dice sia passato attraverso il piccolo borgo abruzzese, ma la parte più folcloristica, resta ancora oggi l’antico rito dei serpari, un cerimoniale d’altri tempi che riesce a intrecciare magnificamente le radici dei valori religiosi con quelle delle più antiche e popolari credenze pagane. I serpenti, presi dagli abitanti all’inizio della primavera, vengono conservati in vasi grossi e umidi di terracotta fino al primo giorno di maggio, data in cui verranno tirati fuori per essere messi a disposizione dei visitatori che potranno toccarli senza alcun pericolo. Solo poi, questi saranno appoggiati sulla statua del Santo che, completamente ricoperta di serpi, sfilerà in testa alla processione. Alla fine della festa però i rettili torneranno liberi, essi infatti, sono fondamentali per dare la caccia ai roditori e agli altri animali dannosi per l’agricoltura, mantenendo così in perfetto equilibrio tutto l’ecosistema.