Miracolose Traslazioni della Santa Casa di Nazareth a Loreto

di Pubblicato in Approfondimenti, Dal Vaticano


LE CINQUE TRASLAZIONI “MIRACOLOSE” DELLA SANTA CASA DI NAZARETH

Le principali documentazioni storiche che comprovano la “veridicità storica” di “almeno” cinque “traslazioni miracolose” della Santa Casa di Nazareth, avvenute tra il 1291 e il 1296: a Tersatto (nell’ex-Jugoslavia), ad Ancona (località Posatora), nella selva della signora Loreta nella pianura sottostante l’attuale cittadina di “Loreto” (il cui nome deriva proprio da quella signora di nome “Loreta”); poi sul campo di due fratelli sul colle lauretano (o Monte Prodo) e infine sulla pubblica strada, ove ancor oggi si trova, sotto la cupola dell’attuale Basilica.

La quarta Traslazione Miracolosa sul campo dei due fratelli

La Santa Casa, dopo la sosta dei nove mesi sulla collina di Posatora, in Ancona, comparve alla fine del 1295 nella selva recanatese della signora Loreta, nell’attuale località denominata Banderuola, dietro l’attuale stazione ferroviaria di Loreto.

Agli abitanti del luogo, stupefatti da quel prodigio, San Nicola da Tolentino, che in quell’anno dimorava nella vicina Recanati – e che, secondo la tradizione, “vide” per rivelazione soprannaturale l’arrivo della Santa Casa – fece sapere che si trattava della Casa di Nazareth. Così anche un pio eremita, fra Paolo della Selva, che dimorava in un colle detto Montorso, poco lontano dalla selva di Loreta, conobbe per rivelazione della stessa Vergine che quelle umili pareti erano la Camera nazaretana dell’Annunciazione, portata via da Nazareth per impedirne la devastazione musulmana.

La fama di questa nuova traslazione miracolosa fece confluire grandi folle di pellegrini nella selva della signora Loreta. Di giorno e di notte gli angusti sentieri della selva erano percorsi dai pellegrini, che si fermavano in quel luogo sacro per giorni e settimane, senza curarsi dei disagi e di dover poi riposare all’ombra degli alberi, non essendoci null’altro. La valle riecheggiava di preghiere e di canti, di suppliche e di lodi alla Vergine.

Giacomo Ricci, un importante autore del XV secolo, scrisse una “Historia Virginis Mariae Loretae”, e nel riportare le documentazioni dell’epoca, scrisse della sosta della Santa Casa nella selva della signora Loreta, descrivendo quanto avvenne in quegli otto mesi, tra il 1295 e il 1296, in cui la Santa Casa rimase in quella selva:

“Mentre così tutto il popolo ogni giorno ivi si raccoglie, e mentre ivi confluiscono da regioni straniere e lontane e d’oltre mare, in quel tempo moltissimi che si davano al latrocinio cominciarono ad appiattarsi in luoghi nascosti e a spargersi ovunque nella selva per uccidere i pellegrini con morte crudele e dolorosa e per impadronirsi dei loro beni” (f.24r).

In tale “storia lauretana” il Ricci concorda con quanto anche scrisse il Teramano e il Beato Mantovano, aggiungendo l’importante notizia dei pellegrini provenienti da “regioni straniere e lontane e d’oltre mare”, a conferma di come la notizia delle “miracolose traslazioni” fosse giunta in pochissimo tempo nei luoghi più lontani. Non è spiegabile, infatti, un tale concorso di folle di pellegrini dai luoghi più lontani (nel giro di poche settimane, o di qualche mese), se non per la straordinarietà dell’evento delle traslazioni “miracolose” della Santa Casa.

Il Ricci aggiunge un particolare ulteriore, riguardo ai naviganti che maltrattavano i pellegrini:

“Ma anche quella pessima genìa di naviganti, mentre trasportava gli altri che ripartivano, strappato loro il danaro, li gettava nelle acque del mare. Di conseguenza nessuno osava più visitare il tempio se non con una grande moltitudine riunita insieme” (f.24r).

Per tali motivi, la Santa Casa venne di nuovo “miracolosamente” trasportata dagli angeli sul Monte Prodo (l’attuale colle lauretano), sul campo di due fratelli, probabilmente il 10 agosto 1296.

Tale nuova traslazione miracolosa è anche attestata da un discendente dei testimoni oculari di quel nuovo evento prodigioso, Francesco il Priore, come riportato dal Teramano nel 1472. Egli affermò sotto giuramento che un suo avo aveva vissuto presso la Santa Casa e l’aveva visitata quando era nella selva di Loreta e poi quando fu portata miracolosamente sul campo dei due fratelli.

I due fratelli furono lietissimi del celeste dono, onorando ed adornando con viva pietà quella Sacra Stanza. In breve tempo essi videro l’altare e le mura coperti di ricchi doni votivi, profusi dalla devozione dei credenti. Tale abbondanza di ricchezze cominciò però a destare in loro l’avidità e la gelosia del guadagno e iniziarono tra loro gravi litigi per tale motivo.

Bonifacio VIII (1294-1303), sotto il cui Pontificato avvennero le traslazioni nel territorio italiano, ebbe subito notizia di tali traslazioni “miracolose”. Lo attesta un importantissimo storico lauretano, Valerio Martorelli (sec.XVIII), Vescovo di Montefeltro, che tra le innumerevoli documentazioni da lui riportate in varie opere, pubblicò anche una lettera che il Comune di Recanati inviò all’epoca a Bonifacio VIII per fargli sapere che la Santa Casa dal bosco si era spostata e si era fermata su un colle appartenente ai due fratelli Simone e Stefano Rinaldi degli Antici. Alcuni critici moderni negano l’autenticità della lettera del Comune di Recanati al papa Bonifacio VIII; ma anche si ammettesse la non autenticità del documento riportato dal Martorelli è tuttavia indubitabile che i recanatesi abbiano comunque scritto al Papa, o con la lettera riportata dal Martorelli (se autentica) o con altra lettera simile, dato che il Papa rispose ad una interpellanza dei recanatesi con l’invio di un Vescovo a custodire la Santa Casa, come di seguito si precisa.

Il Comune desiderava, perciò, che quel colle passasse sotto il dominio pubblico per risolvere la lite dei due fratelli e potervi fabbricare delle strutture di accoglienza per la comodità dei pellegrini. Il Papa però non ebbe bisogno di risolvere la questione, perché la risolse la stessa Vergine, che “per il ministero angelico” miracolosamente fece spostare ancora la Santa Casa sulla pubblica strada, adiacente al campo dei due fratelli, ove rimase per sempre, probabilmente dal 2 dicembre 1296. Il ricordo della sosta della Santa Casa sul campo dei due fratelli è ancor oggi tramandato da una pietra scolpita sul muro, alla fine dell’attuale Palazzo Apostolico, e rappresentante un’immagine di Maria SS.ma, sedente sopra la Santa Casa. Sotto l’immagine vi sta scritto: “visitatio custodivit”.

La strada su cui si era “posata” la Santa Casa era di dominio pubblico e così il Comune di Recanati non fece ulteriori passi presso il Pontefice Bonifacio VIII. Il Papa tuttavia inviò a Loreto Mons. Federico di Nicolò di Giovanni, vescovo e cittadino recanatese, perché assumesse la più premurosa cura del celeste Santuario. Il Papa consigliò poi i Recanatesi ad inviare a Tersatto, nella Schiavonia, e quindi nella Palestina, sedici uomini scelti tra i più insigni della Marca d’Ancona, per verificare “la verità” (come poi venne constatato) dell’assenza a Tersatto e a Nazareth della Santa Casa pervenuta “miracolosamente” nell’anconitano.

Quegli “inviati” constatarono a Nazareth la presenza delle sole fondamenta, in tutto simili nella qualità dei materiali alle Pareti giunte in Italia; constatarono anche l’uguale perimetrazione delle fondamenta con le stesse Pareti, e trovarono anche una scritta su un muro vicino, ove era riportato che la Sacra Stanza era stata in quel luogo, ma che da lì ne era “partita”. Tutto osservato e verificato, tornarono a Recanati e raccontarono le cose vedute, udite e lette, asserendo con assoluta certezza che la Santa Casa giunta in Italia era quella stessa partita da Nazareth.

Si ampliò così sempre più la fama e la devozione alla Santa Casa e alle sue “miracolose traslazioni”: non solo da parte degli abitanti della Marca d’Ancona, ma anche da parte di tanti popoli lontani, che con incredibile moltitudine giungevano da ogni parte.

Per renderne più celebre il culto in tutta la Chiesa, Bonifacio VIII istituì nel 1299 il primo Giubileo del 1300, programmando di farlo celebrare ogni cento anni. In tale modo tutta “la cattolicità” conobbe quell’evento straordinario, confluendo a moltitudini verso Loreto a vedere quel prodigio divino e a venerare la Santa Casa dell’Incarnazione del Figlio di Dio.

             Giova qui rammentare ai cattolici le solenni parole di Leone XIII: “Comprendano tutti, e in primo luogo gli Italiani, quale particolare dono sia quello concesso da Dio che, con tanta provvidenza, ha sottratto (prodigiosamente) la Casa ad un indegno potere e con significativo atto d’amore l’ha offerta ad essi. Infatti in quella beatissima dimora venne sancito l’inizio della salvezza umana, con il grande e prodigioso mistero di Dio fatto uomo, che riconcilia l’umanìtà perduta con il Padre e rinnova tutte le cose” (Lettera Enc. “Felix Lauretana Cives” del 23 gennaio 1894).

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Autore: Giorgio Nicolini

Nato ad Ancona il 18 gennaio 1951. Maturità Magistrale presso l’Istituto Magistrale “C. F. Ferrucci” di Ancona. Bacellierato in Sacra Teologia presso la “Pontificia Università Lateranense” di Roma. Professore di Religione Cattolica, scrittore, editore e direttore della Emittente Televisiva Cattolica in Internet TELE MARIA (www.telemaria.it) e del Giornale Informatico LA VOCE CATTOLICA (https://www.lavocecattolica.com).