San Biagio,conosciuto anche come Biagio di Sebaste, fu un vescovo armeno, morto martire e venerato come santo dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa. Visse tra il III e il IV secolo a Sebastea, in Armenia, l’odierna Asia Minore, dove fu un medico stimato e conosciuto, già prima di ottenere la carica di vescovo cittadino. Nonostante già dal 313 fu concessa la libertà di culto nell’Impero Romano, San Biagio venne rinchiuso dagli stessi romani e gli fu chiesto di rinnegare la sua fede. Al suo rifiuto seguì una straziante tortura per mezzo dei pettini di ferro utilizzati di norma per cardare la lana. Non cedendo nemmeno a queste violenze, fu condannato a morte, che avvenne il 3 febbraio (giorno in cui ancora oggi viene ricordato) dell’anno 316, per decapitazione. Le persecuzioni ai danni dei cristiani rimasero infatti presenti a livello locale, a causa della lotta sorta tra i due imperatori-cognati, Costantino I e Licinio, nel 314. Persecuzioni che portarono a varie condanne a morte tra i vescovi cristiani, ai lavori forzati per i fedeli e alla distruzione delle loro chiese.
La
vita di San
Biagio viene
prima tramandata oralmente e poi raccolta in alcune agiografie, tra
cui la più famosa è quella scritta da Camillo Tutini, dal titolo
“Narrazione della vita e miracoli di S. Biagio Vescovo e Martire”,
risalente al 1637. Un riepilogo della vita del santo si può leggere
nel sinassario
armeno,
che ci racconta come al tempo delle persecuzioni di Licinio, San
Biagio si ritrovò a fuggire ed abitare per un certo periodo tra i
monti dove le bestie “venivano a lui ed erano mansuete”.
Catturato e condotto in prigionia, San Biagio si scagliò contro gli
idolatri, senza mai rinnegare la sua fede, anzi tenendo banco davanti
ai giudici nell’accusare chi venerava idoli di venerare anche il
demonio. Sottoposto quindi alla tortura del pettine, alcune donne
piansero per lui ma si fecero forza nel tramandare le sue parole,
finendo a loro volta per essere accusate e condannate a morte. Quando
venne il turno di San Biagio, tentarono al prima di affogarlo, senza
successo, poiché lui galleggiava sopra le acque, e poi riuscirono ad
ucciderlo tramite decapitazione. Un fedele ne raccolse il corpo e lo
avvolse nella sindone, per poi condurlo a Sebaste.
I miracoli
attribuiti al santo armeno riguardano principalmente la guarigione, a
cui era già portato per la sua professione di medico, ma che
otteneva anche grazie la preghiera, e la protezione dei fedeli. Il
suo miracolo più conosciuto è quello di aver salvato un bambino che
si stava soffocando con una lisca di pesce, che gli estrasse grazie
la preghiera. Ancora oggi i resti
mortali
di San Biagio si trovano nella Cattedrale di Sebaste, anche se una
parte di essi fu tentata di condurre a Roma nel 732, ma una brutta
tempesta bloccò la navigazione nei pressi di Maratea. I fedeli della
città presero quindi in custodia i resti sacri, portandoli nella
Basilica di Maratea, sul monte San Biagio, dove sono rimaste per
secoli. La cappella in cui sono custodite queste reliquie è stata
posta sotto la protezione della Regia Curia, nel 1629, per volere di
Filippo IV d’Asburgo, e sempre al suo interno si può trovare la
palla di cannone francese inesplosa durante l’assedio del dicembre
1806, che riporta delle impronte che la tradizione attribuisce alla
mano di San Biagio, impresse nel momento in cui intervenne per
proteggere i suoi fedeli.
Oltre a questi luoghi, altri vantano
la presenza delle reliquie
di San Biagio, ma questo è dovuto tanto all’usanza di sezionare i
corpi dei senta, quando alla esecrabile pratica dei malfattori di
vendere reliquie di santi omonimi o perfino false.
Nel corso del tempo, San Biagio si è confermato come una figura molto amata dai fedeli, tanto che molte città italiane lo ricordano con particolari festeggiamenti, nel giorno in cui scelse il martirio (il 3 febbraio), per tenerne sempre viva la memoria.