Per un giorno come Gerusalemme. Barile, paese in provincia di Potenza si trasforma in un angolo di Terra Santa e rivive il dramma del Golgota con una rappresentazione con personaggi viventi che non ha eguali nel Sud Italia. La processione del Venerdì Santo è una delle più antiche ed affonda le sue origini intorno al 1600, quando il sacrestano della piccola chiesa di San Nicola – un tempo di rito greco-ortodosso -, decise di organizzare la particolare rievocazione. Le vie strette del centro storico, attraverso le quali si snoda il corteo dei figuranti – in tutto 116, divisi in 25 gruppi -, rendono unica l’atmosfera che si respira nel borgo ai piedi del Monte Vulture.
Non c’è barilese, vuoi per la partecipazione al mesto corteo vuoi per il contributo materiale ed organizzativo, che non sia coinvolto nella preparazione e messa in scena della «Passione di Cristo». Il centro «arbereshe» (a Barile si parla l’albanese) si prepara al Venerdì Santo dal 19 marzo, giorno di San Giuseppe, quando i giovani che si travestiranno da «Centurioni a cavallo» iniziano a percorrere le strade del paese muniti di tromba. La suonano stazionando sotto le abitazioni di chi impersonerà il «Cristo con la croce» e la «Madonna». Servono polmoni forti e le note che si odono sono state tramandate senza una conoscenza specifica della musica. La tromba indica chiaramente che la comunità barilese è al lavoro per la Via Crucis.
I personaggi del Venerdì Santo di Barile sono stati riadattati dalla tradizione popolare. La figura di Cristo è rappresentata nel corteo in tre modi: con la croce, con la canna e con la colonna. Queste ultime due ricordano i momenti in cui a Gesù fu data una canna come scettro («Ecce homo») e quando fu legato ad una colonna per essere fustigato prima della crocifissione. In origine le tre figure di Cristo sfilavano coperte, erano avvolte da un sudario bianco che impediva di riconoscere l’identità degli interpreti. Dagli anni ’40 del secolo scorso, il personaggio del «Cristo con la croce», perfettamente truccato per l’occasione, è ben riconoscibile. Si tratta di un giovane del posto che si prepara ad interpretare l’importante ruolo con digiuno ed astinenza. Da quasi un secolo la vestizione del «Cristo con la croce» avviene nella stessa abitazione – quella della famiglia Faregna – situata a pochi metri dalla Chiesa di Maria Santissima della Grazie, da dove ogni anno, ne primo pomeriggio, inizia la processione dei misteri. Il «Cristo con la croce» cammina scalzo per l’intero percorso (circa quattro chilometri), trasporta una pesante croce e trascina, legata al piede, una lunga catena di ferro. Durante il tragitto viene aiutato dal «Cireneo», soprattutto in occasione delle tre cadute, perché il pesante legno non provochi traumi. Sono tuttora incappucciati il «Cristo con canna» e quello con la «Colonna».
A Barile, Pier Paolo Pasolini girò nel 1964 le scene della nascita di Gesù e della strage degli innocenti del «Vangelo secondo Matteo». Il regista rimase colpito da alcune fotografie esposte in un museo di Roma nelle quali si immortalava la processione del Venerdì Santo realizzata nel piccolo centro lucano. Alla fine degli anni ’60 del secolo scorso il documentarista Folco Quilici fu spettatore della processione e ne rimase affascinato.
Tra due ali di folla gli interpreti della «Passione» sfilano in silenzio. Tutti, bambini e adulti, si immedesimano nella parte con grande serietà. L’unica a sfoderare un perfido sorriso è la «Zingara». Questo personaggio è stato creato dalla tradizione popolare e rappresenta la donna che fornì i chiodi forgiati rudemente per la crocifissione di Cristo. Per l’intera processione la «Zingara», accompagnata dalla «Zingarella», ostenta la sua procacità, distribuendo ceci e confetti agli spettatori, incurante delle sofferenze di molti personaggi che si ispirano alle sacre scritture. Il petto e le mani della «Zingara» sono completamente ricoperti d’oro, prestato per l’occasione da tutta la popolazione di Barile. I monili che “impreziosiscono” le sue movenze vengono ricamati giorni prima. La giovane «Zingara» viene preparata dall’alba del Venerdì Santo – una forma di penitenza anche questa – per sfilare in processione, scortata da ben quattro carabinieri.
Un altro personaggio pagano, creato dalla tradizione del borgo vulturino, è il «Moro». È una figura che non ha origini precise. Probabilmente simboleggia il popolo turco, che intorno al 1400 minacciò l’Albania, causando dal «Paese delle aquile» la fuga di molti cittadini. Gli albanesi si insediarono in diverse comunità nell’Italia meridionale, compresa quella di Barile. Come la «Zingara», pure il «Moro» distribuisce ceci e confetti, affiancato da un bambino con gli stessi abiti. Il volto del Moro è completamente annerito. Per il trucco, i membri del «Comitato sacra rappresentazione», che organizza la Via Crucis, impiegano l’intera mattinata.
Tutti gli interpreti della Via Crucis di Barile hanno una collocazione fisica ben precisa, ad eccezione di uno. Si tratta del «Malco», che, incappucciato, calza pesanti scarponi come cilicio. La sua irrequietezza e il suo spostarsi da un capo all’altro del corteo hanno un significato preciso. «Malco» schiaffeggiò Gesù e dunque è condannato alla dannazione eterna, a non trovare più pace e tranquillità.
L’11 maggio 1983 il «Comitato Sacra rappresentazione» realizzò a Roma e nella Città del Vaticano, alla presenza di Giovanni Paolo II, l’inimitabile processione dei misteri. Più di quattrocento fedeli di Barile giunsero in quell’occasione nella capitale e a San Pietro per assistere alla Passione di Cristo in cui fede e tradizione sono un binomio indissolubile. Fu in quella occasione che, come scrisse l’Avvenire, “in mezzo al traffico apparve Gesù”.
di Gennaro Grimolizzi