Dalla Vita quattrocentesca sappiamo che Rosa nacque a Viterbo attorno al 1233 da persone di semplici origini e di modeste condizioni, che le impartirono un’educazione cristiana. Di delicata costituzione e di modi gentili, la grazia del Signore si manifestò in lei fin dalla più tenera età e a lei vengono attribuiti nella Vita quattrocentesca numerosi eventi prodigiosi come quello del pane trasformato in rose, della brocca risanata ed altri ancora, talvolta veri e propri “prestiti” da leggende di altri santi. La tradizione popolare la vuole al fianco dei suoi concittadini durante l’assedio di Federico II di Svevia alla città di Viterbo nel 1243, sia con il conforto delle sue sante parole che con la preghiera costante. Nel giugno del 1250, secondo quanto attesta la Vita duecentesca, Rosa era gravemente malata e prossima alla morte, ma la notte del 21, dopo aver avuto la visione di persone scomparse molti anni prima, si alzò improvvisamente guarita, tra lo stupore dei presenti che la vegliavano. Lodando con grande gioia il Signore e la beata vergine Maria e la beata Anna e tutti i santi e le sante di Dio, Rosa pregò il Signore, affinché concedesse al re di Francia, Luigi IX, allora crociato in Terra Santa, la potenza e la forza per sconfiggere gli infedeli. Il giorno successivo (23 giugno) prostratasi nuda in forma di croce sul pavimento, dichiarò alla madre di rinunciare a tutte le cose e delizie del mondo e la pregò di chiamare donna Sita, forse la ministra di una comunità di penitenti, affinché le tagliasse i capelli e la vestisse con l’abito della penitenza e il cingolo ai fianchi, secondo quanto le aveva comandato la Vergine Maria. E così fu fatto.
Il giorno seguente, festa di San Giovanni (24 giugno), Rosa, seguìta dalle donne della sua contrada, visitò le chiese di San Giovanni e di San Francesco per poi tornare indietro alla chiesa di Santa Maria in Poggio. Da questo momento iniziò la vita pubblica di Rosa, intesa ad invitare i suoi concittadini alla conversione: con la croce in mano, percorreva le vie cittadine pregando e cantando le lodi dell’Altissimo e della Vergine Maria. Il trambusto causato in città dal suo operato finì per infastidire i seguaci dell’imperatore (eretici, secondo l’autore della Vita duecentesca) che, considerandola un pericolo, chiesero al Podestà, Mainetto di Bovolo, di esiliarla dalla città. Nella notte del 5 dicembre 1250, Rosa, nonostante la neve e il suo precario stato di salute, si mise in cammino con i suoi genitori verso Soriano nel Cimino. Durante quel viaggio ebbe la visione di un angelo, che le annunciò la morte dell’imperatore Federico II, che di fatto avvenne il 13 dicembre 1250. Da Soriano, Rosa passò a Vitorchiano dove sostò qualche giorno, restituendo, secondo la Vita quattrocentesca, la vista alla fanciulla Delicata, cieca dalla nascita, e convertendo un’eretica con la prova del fuoco. Ritornata a Viterbo all’inizio del 1251, chiese di entrare nel monastero delle Damianite di Santa Maria (odierno Santa Rosa). Poiché ciò non le fu consentito, in quanto il numero delle religiose era completo e perché non aveva la dote, Rosa si ritirò nella sua casa, vigilante e penitente, in attesa del suo transito in cielo, che avvenne presumibilmente il 6 marzo del 1251 (o l’anno successivo). Ella fu sepolta nella nuda terra del cimitero della chiesa di Santa Maria in Poggio. Diciotto mesi dopo, il 25 novembre 1252 Innocenzo IV dette ordine di istruire il processo diocesano, di dare, cioè inizio alle indagini per accertare la santità della Vergine viterbese. Successivamente, sempre secondo la Vita quattrocentesca, il pontefice Alessandro IV, mentre si trovava a Viterbo, ordinò la riesumazione del corpo che, trovato incorrotto, fu fatto trasferire in forma solenne nella chiesa del monastero di Santa Maria, probabilmente il 4 settembre 1258; questo evento viene commemorato con la spettacolare e suggestiva “Macchina” di Santa Rosa.